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Montecalvo Irpino 1930: memorie

A Montecalvo descrivere quel che desta nell’animo mio lo spettacolo terribile della strage di Montecalvo è impresa difficile quanto quella di voler definire quale sensazione di autentico raccapriccio m’abbia pervaso e colpito fin dall’ingresso in paese.
Ì proprio in questo comune che la irreparabilità e consistenza del disastro assume veste e colore di tragedia imponderabile.
M’inoltro per le deserte strade di questo paese ove manco da un mese appena, e qualcosa mi si  stringe ed accartoccia nell’intimo, qualcosa freme nella mia subcoscienza.
L’accesso alle strade maggiormente colpite è rigorosamente vietato, stante il gravissimo pericolo d’improvvisi crolli.
Attraversare un Comune devastato, in veste di turisti, attraversarlo come fanno alcuni... necrofili o necrofori che dir si voglia, produce indubbiamente una impressione assai viva. Ma tornare in un paese che si conosce bene, che si è visto altre volte, tornarvi all’indomani di un disastro colossale per vederlo crollato, per sentirlo deserto e per non riconoscervi che dei frammenti, dei residui, delle semplici tracce, è più straziante d’un martirio. Procedo in silenzio, a capo basso, quasi tenga coda all’invisibile corteo di tutte le vittime della notte, mentre ogni cosa, a me d’intorno, ed ogni pietra, parmi trasudi e stilli sangue. Nella parte più alta del paese è una rovina indescrivibile. 

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Le Janare

Le janare sono figure caratteristiche della civiltà contadina.
Nella tradizione, esse erano fattucchiere in grado di compiere malefici ed incantesimi, di preparare filtri magici e pozioni in grado di procurare aborti.
Tuttavia non si conosceva l'identità delle janare: esse di giorno potevano condurre una esistenza tranquilla senza dare adito a sospetti.
Di notte, però, dopo essersi cosparse le ascelle (secondo altri il petto) di un unguento magico, esse avevano la capacità di spiccare il volo lanciandosi nel vuoto a cavallo di una granata, cioè una scopa costruita con saggina essiccata.
Nel momento del balzo, pronunciavano la frase: Sott'a l'acqua, sott'a 'r vient, sott'a la noc d' Bnvient -  (sotto l'acqua e nel vento, sotto il noce di Benevento) (qualcuno ha avanzato l'ipotesi che il misterioso unguento fosse una sostanza allucinogena.
In tal caso alcune delle storie fantastiche che si raccontano sarebbero nate dalle allucinazioni vissute delle persone che facevano uso di tale unguento).

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Guerrisi Michele

Guerrisi Michele

Nacque a Cittanova, presso Reggio di Calabria, il 23 febbr. 1893 da Pasquale e Filomena Barbaro, di Palmi.
Alle sue origini il G. diede sempre valore simbolico, tale da stabilire un legame tra sé e la cultura della Magna Grecia, come egli afferma nell'autobiografia (M. G., Roma 1957) che, nonostante l'approssimazione di molti dati, risulta di grande interesse per poter tracciare l'iter della sua formazione artistica e per seguire l'evoluzione del suo pensiero estetico.  

Trasferitosi a Palmi per frequentare il ginnasio, ebbe modo di ricevere una prima educazione pittorica presso lo studio di Domenico Augimeri, artista formatosi con Domenico Morelli e Filippo Palizzi.
A sedici anni fu iscritto dal padre al liceo Galileo Galilei di Firenze;
e il G. considerò sempre questo soggiorno fiorentino una tappa fondamentale per la sua formazione.

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Giovanni Pedersoli, sopravvissuto ad Auschwitz

In occasione della Giornata della Memoria (istituita con L. 211 del 20/07/2000) i giovani dell’Associazione Libera Mente di Montecalvo Irpino, con il presidente Antonio Siciliano e il segretario dott. Francesco Pepe, nei locali del cinema Pappano, hanno ricordato l’Olocausto in un incontro con specialisti che hanno trattato, da varie angolazioni, il “Ricordo”. Il giovane biblista don Leonardo Lepore ha rivisto la Shoah dal lato religioso. Il Prof. Giuseppe D’Angelo, dell’Università di Salerno, ha trattato, storicamente, lo sterminio scientifico avvenuto nei campi polacchi. Ha moderato il dibattito il giornalista Vincenzo Grasso. Un giovane dell’Associazione, Angelo Michele Luisi, ha letto una scheda tratta da un mio libro in corso di pubblicazione, che fa conoscere e rivivere la figura di un montecalvese uscito vivo, ma distrutto nel fisico, dal campo di Auschwitz. Si tratta di Giovanni Pedersoli. 

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L'opera di Don Teodoro Rapuano a Montecalvo

S. Pompilio Maria Pirrotti delle Scuole Pie, all’anagrafe Domenico Michele Giovan Battista Pirrotti, di origini nobili, sesto degli undici figli di Girolamo e Orsola Bozzuti, sacerdote e religioso dell’Ordine delle Scuole Pie, nasceva a Montecalvo Irpino (Av) il 29 settembre 1710 e moriva a Campi Salentina (Le) il 15 luglio 1766.
Il 30 settembre 1710, nella Collegiata di S. Maria Assunta in Cielo, annessa al Palazzo ducale, era battezzato, col nome di Domenico.
Ebbe come compare, rappresentato con delega dal padre nel neonato, l’Illustrissimo e Reverendissimo D. Carlo Pignatelli (L’Aquila 1676 - 1734), Vescovo di Minervino dal 1719 e figlio dell’Eccellentissimo D. Pompeo (1632 - 1705), 2° duca di Montecalvo, e come comare la Signora Anna Caggiano di Buonalbergo (Bn). 
Ordinato sacerdote dell’Ordine delle Scuole Pie, il 20 marzo 1734, fu docente a Brindisi, Ortona a Mare (Aq), Lanciano (Ch) e soprannominato “Apostolo degli Abruzzi”.

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Maria dei Duchi Pignatelli di Montecalvo

Maria dei Duchi Pignatelli di Montecalvo diventò Madre Maria Angelica di Gesù.
Fu Priora del Carmelo a Vetralla (Vt) e il libro, Il canto della speranza, di Sr. Maria Sabina dell’Eucarestia, O. Carm., ne racconta la vita e l’opera .
Il castello e i Duchi Pignatelli di Montecalvo Irpino.
Dei Duchi Pignatelli di Montecalvo Irpino, forse, la giovane generazione del paese non sa granché.
Complice la fine della tradizione dei cunti, narrati dagli anziani ai bambini attorno al focolare, la  memoria collettiva si è talmente immiserita da potersi considerare ormai perduta.  
Al castello di Montecalvo arrivava verso la metà di luglio del 1132, proveniente dalla Puglia, dove aveva sottomesso i baroni in rivolta, Ruggero II il normanno, re di Sicilia, Calabria e Puglia, deciso ad affrontare, col proprio esercito, i suoi nemici in territorio beneventano: il cognato Rainulfo d’Alife e Roberto II, principe di Capua.

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