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Piazza Carmine e l'Olmo che non c'è

La piazza del Carmine qui riprodotta in una foto del 1880 circa,rimane una delle piazze più belle e storicamente più importanti dì Montecalvo Irpino.

 
A baluardo di un millenario, felice e non casuale connubio tra il Sacro e il Faceto, troviamo la Chiesa del Carmine e l’Olmo,quasi a simboleggiare la instaurata pace tra l’uomo e Dio e tra l’uomo e la natura.

Cinquant’anni fa,si abbatté , il maestoso olmo, che solo l’animo sensibile e nostalgico di un nostro emigrato (Placido A. De Furia) poteva ricordare con versi di un sì sublime ardente rispetto.

Aveva più di mille anni il nostro amico,lo avevano piantato i Longobardi (che consideravano l’Olmo un albero sacro, ben rappresentativo della loro forza e fierezza

d’animo),vicino a quella Chiesa che per loro volontà. si chiamerà di San Sebastiano e solo molto tempo dopo del Carmine.

 

I Longobardi (longa-barda) (barda:grande ascia da combattimento, tipica di queste genti) erano degli svedesoni forti, rozzi e ignoranti, requisiti indispensabili per la conquista di una Italia decadente e lasciva.

Ariani convertiti al Cattolicesimo,più che essere usati dalla religione,ne furono abili fruitori e sebbene temessero il Demonio,adoravano la Vipera.

Molto probabilmente si deve a loro l’invenzione dell’Acquasantiera nelle chiese e il portare e detenere reliquie di Santi,stante la malcelata preoccupazione di essere influenzati dal maligno e sicuramente si deve a questa fisima, il recupero e/o trafugamento di numerosissime statue e icone di santi,sottratte alla furia iconoclasta degli ultimi e arabizzati imperatori d’oriente.

Capirono per primi che un atto di natura laica o amministrativa, avrebbe avuto maggior peso se si fosse svolto sul sagrato o nelle vicinanze di una Chiesa.



La necessità di spazi, favorì la nascita di nuove Chiese,con ampie piazze,libere da costruzioni ed espressamente destinate all’adorazione di Dio,dei suoi Santi e alla amministrazione della Giustizia. Le cerimonie ordaliche si tennero così davanti le Chiese,sotto il diretto Giudizio di Dio e sotto il diretto controllo dell’ancestrale animistica religione degli antenati Longobardi,simboleggiata dal Sacro Olmo. Non sapevano leggere e scrivere,forse non avevano nemmeno una loro scrittura,ma riuscirono a trascrivere la tradizione antica nella lingua dei vinti romani, e con Re Autari riusciranno a dar vita ad un codice moderno,efficace e per certi versi attualissimo.(Per i Longobardi tutto aveva un prezzo e quasi tutto poteva essere risolto con l’esborso di una pena pecuniaria). La Chiesa edificata forse verso l’VIII-IX secolo,fu intitolata a San Sebastiano, santo a cui intercessione si deve la fine della terribile pestilenza che colpì la Città di Pavia (capitale del regno Longobardo) sotto il regno di Re Uberto.L’edificazione della nostra Chiesa è certamente legata ai gravi fardelli subiti,che oltre alla peste si chiamano: Terremoti,colera,tifo…………….Un raro manoscritto del 1705 ,ricorda che la Chiesa di San Sebastiano fu edificata fuori terra,dalla parte occidentale,nel luogo detto Lo Monte, posta in isola e circondata dalla Via Pubblica.











 

Fu edificata nell’ anno 1478 ma va ricordato che il tremendo terremoto del

1456.distrusse quasi tutti gli edifici ecclesiatici di Montecalvo,causando circa 800 morti,per cui è quasi sicuro che la riedificazione avvenne sulle rovine della

precedente.

La minuziosa descrizione dell’interno,degli altari e delle suppellettili ,conferma la natura longobarda della struttura originale della Chiesa,che solo molti secoli dopo diventerà “Chiesa del Carmine”, fino alla struttura attuale riedificata dopo il 1930 e arretrata nel Giardino del Palazzo Stiscia,per la creazione di una piazza più grande e per favorire il collegamento con la Piazza Vecchia (odierna Piazza S.Pompilio).

 

 

 

 

 









 

 

 

Oltre ai calici,alle urne e a qualche reliquiario, è la straordinaria e miracolosa statua lignea della Madonna Della Libera che testimonia al meglio la presenza longobarda in Montecalvo, statua che la dott/ssa Portoghesi (archeologa ed esperta di tessuti, di fama mondiale)individua e assegna all’alto medio evo ,specie con riferimento alle racce dell’antico panneggio dipinto,alla presenza della mandorla, e al fatto che la statua vesta il CINTO ,che ne configura lo stato di grazia legato alla dolce attesa del salvatore(nonostante l’improbabile restauro effettuato senza alcuna parametrazione scientifica).

Che dire della straordinaria bellezza e grazia della sacra immagine, un vero unicum nella statuaria medioevale,con evidenti riferimenti alla statuaria greco-romana se Bìzantina. (Non va dimenticata la tradizione che recita di un miracoloso ritrovamento della Madonna,in occasione di una delle tante pestilenze e la liberazione dal male).

Ma torniamo all’olmo!

Stiamo senz’olmo da 50 anni, aspettavamo di vederlo ripiantato nella bella Piazza rifatta da poco, ahimé ciò non è accaduto!

Siamo stati inondati di Magnolia ridens, che accortesi che non c’è proprio niente da ridere,visti i tempi,rimangono scheletriche, ricevendo l’appellativo di agonians. A Montecalvo esiste una magnifica tradizione che segue il gioco del tressette e che basato su regole mai scritte,ma efficaci (come quelle longobarde) disciplina la bevuta ristoratrice, tra un padrone di turno e un sotto di compagnia.

La cosa bella di questo gioco è che il sotto beve quasi sempre e anche quando diventa padrone,non dimentica l’azione ricevuta buona o cattiva che sia.

Chi invece non beve e rimane assetato,si trova nella condizìone di essere portato a OLMO.

Un caloroso e cortese invito a chi è Padrone,stare senza bere per noi del Carmine è cosa risaputa, ma ridateci almeno la speranza di andarci a rinfrescare sotto l’Olmo.

 

Montecalvo Irpino 19 Agosto 2005

Dott.Antonio Striscia

L’ olmo di Piazza Carmine
 

 

Antica e non spaziosa

è la piazzetta,
ma le dà grazia
viva un olmo secolare....
Quell’olmo è pari a bussola;
guida i passi
di quanti, stanchi, tornano al paese,
al tramontar del sole.
Ed io ricordo il cinguettio
festoso degli uccelli
e le fresche auree
che lievi a sera
carezzano la terra dei miei avi.
Ricordo, ed il rimpianto
m’invade il cuore.
Caro, vecchio olmo
alto, maestoso,
mi par di sentire
il fruscio delle tue foglie,
che era canto
delicato e lieve…….

Da ‘Ricordi di un emigrato” di Placido A. De Furia
Testo e foto tratte da:
Album di Famiglia di
Antonio Stiscia e G.B.M.Cavalletti

I visitatori dal 30/11/2002 fino ad oggi sono:

 

 

 

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