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Storia della popolazione irpina

Breve storia della popolazione irpina

Una consuetudine , oramai consolidata, vuole fare scaturire le origini di una qualsiasi popolazione dalla leggenda.
Per gli Irpini si vuole che il nome derivi da " hirpus" parola "osca" che significa lupo, in quanto, secondo la tradizione,  erano stati originariamente portati nel loro habitat storico da un lupo in occasione di un "ver sacrum" o primavera sacra.
L'etnografia e la geografia degli Irpini dal 600 avanti Cristo in poi non vengono messe in dubbio.
Scritti antichi e scoperte archeologiche dimostrano l'esistenza di un popolo sannita, barbaro e di lingua osca ,

che viveva nell'Italia meridionale, in direzione est della Campania, nel territorio che si estende per circa 60 miglia in prossimità di Lucera, colonia latina fondata da Roma nel 314, e dei monti Dauni. A sud l'Olfanto, l' "Aufidus tauriformis" di Orazio, separava gli Irpini dai Lucani anche se Conza, che si trova a sud del fiume, era irpina.
A nord il Calore, affluente del Volturno, è il più sannita dei fiumi, fino a un certo punto separava gli Irpini dai Pentri, Sanniti per eccellenza. Per la loro vicinanza alla Magna Grecia e alla Campania ellenizzata, gli Irpini erano esposti alle influenze della cultura greca molto più di quanto lo fossero i loro vicini Pentri, che abitavano una zona degli Appennini molto più alta e meno accessibile. Tuttavia gli Irpini erano autenticamente Sanniti.
Le recenti scoperte ce li presentano nel periodo più importante della storia,i secoli quinto e quarto. I primi ritrovamenti archeologici risalgono all'incirca al 420 A.C. quando, secondo scrittori antichi, i Sanniti si impadroniscono di Capua e di Cuma.
È risaputo che nelle sepolture dei maschi, anche nelle urne cinerarie mutuate dal costume greco del quarto secolo inoltrato, la suppellettile comprende cinturoni in pelle e bronzo tipici Sanniti. Come i Pentri, gli Irpini parlavano l'osca così come era venuto normalizzandosi.
Nella scrittura usavano i caratteri osci. Per quanto ne sappiamo anche le loro istituzioni politiche erano tipicamente sannite; essi, infatti, erano organizzati in stati tribali amministrati da "meddices" (magistrati) i quali, anche se eletti democraticamente, sembrano provenire tutti da gruppi di famiglie appartenenti all'aristocrazia fondiaria, come i Magii di Eclano.
In particolare gli Irpini facevano parte di quella Lega Sannitica che, nei secoli quarto e terzo, combatté aspramente contro Roma per la supremazia sull'Italia. Infatti, se non i più forti di quella lega, essi erano secondi solo ai Pentri.
Tuttavia nelle narrazioni storiche delle tre guerre sannitiche e della guerra di Pirro, gli Irpini non vengono mai menzionati con il loro nome anche se tutti questi conflitti furono in gran parte combattuti sul loro territorio. L'omissione del loro nome appare comprensibile se teniamo presente che i resoconti giunti fino a noi derivano da fonti romane; e Livio suggerisce che i Romani; combattevano contro il Sannio considerandolo un'unica grande regione che parlava la stessa lingua, senza prestare attenzione alle varie tribù che la componevano.
Solo dopo la partenza di Pirro dall'Italia e lo smantellamento della lega sannitica, i romani, nel perseguire la loro caratteristica politica del "divide et impera", cercarono sempre di differenziare una tribù sannitica dall'altra e, in particolare, gli Irpini.
Comunque sia, gli Irpini non sono mai menzionati con il loro nome, fino al racconto di Polibio della seconda guerra punica quando, dopo Canne, unirono la propria sorte a quella di Annibale e combatterono ancora una volta contro i Romani.
La persistente ostilità nei confronti di Roma da parte degli Irpini, definiti da Silio Italico " vana gens" , costò tuttavia ad essi molto cara. I Romani li privarono più volte del loro territorio ma le vicende di queste confische sono narrate in modo talvolta impreciso. Né, d'altra parte, si può risalire ad esse con certezza; l'elenco di Festo delle comunità italiche redatto nelle "praefecturae" romane non comprende alcuna colonia irpina.
Un centro, che fu presumibilmente annesso alla fine della guerra contro Pirro, fino a quel momento quasi certamente "caput" o sede amministrativa degli Irpini, acquistò in seguito, un'importanza nevralgica per l'Italia meridionale. Lo chiamarono Malevento.
Ma quando i Romani se ne impossessarono e nel 268 lo resero colonia latina, cambiarono il suo nome in Benevento, "auspicato mutato nomine", come dice Plinio. Essi fornirono ai "coloni" un grande "territorium", naturalmente a spese degli Irpini. In questo Roma separò gli Irpini dai Caudini, la tribù sannita situata ad ovest.
Per quanto riguarda gli abitanti di Malevento, che parlavano osco, essi furono probabilmente sterminati, espulsi, o resi schiavi.
I Romani impedirono anche ogni contatto fra gli Irpini e i Pentri, i loro compagni sanniti del nord, impadronendosi di un'ampia striscia di territorio lungo il fiume Calore, e anche questo avvenne probabilmente dopo la guerra contro Pirro.
Il territorio qui confiscato era conosciuto come l'Ager Taurasinus. Ancora una volta i Romani sembrano essersi liberati delle popolazioni di lingua osca. In ogni caso gli Irpini persero dei territori nel sud, forse dopo la seconda guerra punica.
Inoltre molto probabilmente fu confiscato dai Romani un noto Santuario dedicato alla dea Mefite, immortalata da Virgilio, situata a Rocca San Felice.
Naturalmente gli Irpini avevano altri Santuari , ma la perdita di quello principale deve essere stato molto doloroso per loro, poiché tutti gli irpini veneravano questo tipo di santuari come simbolo fondamentali di solidarietà tribale. Inoltre sembra che i Romani abbiano costretto gli Irpini a cedere anche parte della loro terra nella valle del fiume Ufita, per assicurarsi un tratto della via Appia.
Questa strada maestra fu prolungata da Benevento a Brindisi; quest'ultima divenne poi colonia latina intorno al 224. Nemmeno di tale confisca è rimasta traccia. Inoltre l'estensione della strada fu eseguita così male da essere indegna di ingegneri romani.
Tuttavia è plausibile che gli Irpini abbiano dovuto cedere tratti di territorio che si trovavano da quelle parti. Le perdite di territorio lasciarono gli Irpini indeboliti e amareggiati. Perciò, quando l'Italia si levò contro Roma nel 91, lo stato irpino, smembrato, si unì agli insorti. Non è facile valutare la sua grandezza in questo difficile momento per l'incertezza che regna circa l'estensione completa delle sue perdite territoriali. Ma la sistemazione alla fine della guerra sociale può fornire delle indicazioni sui luoghi in cui era concentrata la forza degli Irpini al tempo dello scoppio della guerra. È risaputo che, dopo il conflitto, gli Irpini divennero preda degli avidi seguaci di Silla , i rapaci "possessores Sullani", guidati da Quinctius Volgus, padrone, secondo Cicerone, di grandi estensioni di territorio irpino, evidente precursore degli avventurieri politici così noti agli annali della grande repubblica.
Ma di rilevante importanza fu l'acquisizione della cittadinanza romana da parte degli Irpini e l'iscrizione della maggior parte di essi nella tribù romana della Galeria. Il loro stato tribale fu smantellato e le principali colonie furono trasformate in confederazione civiche autonome, in altre parole, in "municipia "romani. È chiaro che attraverso l'identificazione di questi "municipia" si possono individuare i più importanti luoghi irpini intorno all'anno 100.
Il terzo libro della Storia Naturale di Plinio ci offre una lista delle città, "coloniae" e "municipia", istituite in ognuna delle undici regioni di Augusto. I "municipia" irpini erano nella Seconda Regione Augustea così come lo erano i "municipia" pugliesi, ma Plinio non fa distinzione tra due gruppi. La sua lista di "municipia" irpini e pugliesi è molto confusa, comunque dal miscuglio emerge che ce n'erano quattro irpini: vale a dire Aeclanum, Compsa, Aquilionam e Abellinum (che sarebbe diventata presto una colonia ). In effetti, Plinio vi colloca un "municipium" ai quattro angoli dell'Ager Hirpinus.
Al centro non vi pone alcun " municipium", anche se esso era il cuore del territorio irpino. Questa parte di territorio irpino era il distretto conosciuto oggi come Baronia , la valle del fiume Ufita, un vasto altopiano circondato da montagne, alto da due a tremila piedi. Infatti l'aerea della Baronia è il cuore del centro dell'alta Irpinia di oggi e recenti scoperte archeologiche ne confermano l'importanza anche nell'antichità. Sempre dal centro della terra irpina ci giungono testimonianze archeologiche di grande rilievo.
Terraglie e manufatti importanti, la maggior parte di provenienza campana e pugliese, e imitazioni locali di vasi campani testimoniano un'attività e un commercio intesi di cui ancora oggi sono riconoscibili gli influssi. L'importanza di questa zona è ancora più comprensibile se si pensa che essa costituiva l'unica via d'accesso ad alcune delle strade principali dell'Italia meridionale. I sentieri dei mercanti di bestiame che erano serviti precedentemente come facile rete di comunicazione si erano gradualmente trasformati in strade praticabili che divennero poi parte delle grandi arterie di costruzione imperiale e consolare. Una di queste era la via Appia che attraversa la baronia in prossimità di Carife.
Probabilmente ai tempi dello scoppio della Guerra sociale, nel 91, esisteva, nella Baronia, almeno un distretto irpino tanto grande e sviluppato da trasformarsi in un "municipium" romano subito dopo la fine della guerra ; Plinio trascurò, presumibilmente, di nominarlo semplicemente perché ne aveva perduto le tracce nel redarre, in maniera piuttosto approssimativa e confusa , la lista della città della Seconda Regione di Augusto.
D'altronde sin dalla seconda guerra mondiale sono state pubblicate delle iscrizioni che parlano di un "municipium ", senza però nominarlo. I documenti chiariscono, comunque , che questo " municipium " ebbe "quattuorviri iure dicundo " come primi magistrati locali, indizio sicuro dell'esistenza di un distretto che prima di Roma aveva avuto un notevole livello di sviluppo. Questo "municicipium ignotum "doveva essere verosimilmente appartenuto alla tribù romana della Galeria, ulteriore elemento probante della sua partecipazione alla Guerra Sociale dalla parte degli insorti.
Che non fosse uno dei quattro "municipia" nominati da Plinio sembra certo; infatti i luoghi ritrovati nelle iscrizioni relative sono troppo lontani da quelli indicati da Plinio e inoltre nessuno, dei quattro, si trovava nella Baronia .Esiste, comunquenella Baronia, un 1luogo idealmente adatto a essere un" municipium".
Ricapitolando sembra che , al tempo della Guerra Sociale, c'erano cinque comunità "in Hirpinis" tanto urbanizzate da potersi facilmente trasformare in "municipia" romani subito dopo la guerra .
Di questi cinque Aeclanum (la Mirabella Eclano di oggi), che domina la montagna più importante che affaccia sulla Puglia, potrebbe benissimo aver sostituito il perduto Benevento, come distretto irpino principale dopo il 268 ; le centinaia di epitaffi, sopravvissuti al più tardo periodo romano, ne rivelano la grandezza. Sembra, comunque, piuttosto improbabile che Aeclanum abbia preso l'iniziativa di convincere gli Irpini a unire la propria sorte a quella dei rivoluzionari italici del 91. In quell'anno c'era gruppi filo-romani in molti distretti italici insorti. Il più conosciuto di questi è tra i Vestini della città di Pinna.
La presenza di questo elemento filo-romano spiega, senza dubbio , perché, alla fine della guerra, Aeclanum ricevette un trattamento speciale; all'atto di acquistare la cittadinanza romana fu assegnato alla tribù della Galeria.
Sicuramente furono degli Irpini, quelli che presero il comando e guidarono la loro tribù nella file ribelli della guerra sociale. Questa scelta poté anche essere stata motivata dalla particolare posizione del loro territorio nella valle del fiume Ufita. Ovviamente la possibilità che possa trattarsi di questo "municipium ignotum" è particolarmente suggestiva.
Nel suo resoconto della terza guerra Sannitica, Livio parla di un posto, situato sicuramente nel cuore del territorio irpino, che doveva avere una certa importanza poiché, quando fu conquistato dai Romani nel 296, fruttò enormi bottini e migliaia di prigionieri.
Questo paese, di nome Romulea, aveva raggiunto una tale importanza che, a differenza degli altri insediamenti irpini, trovò posto nel dizionario geografico di Byzantius il quale la descrisse come "polis" dei Sanniti in Italia. Né Livio né Byzantius la localizzano con esattezza ma, a questo proposito, ci vengono in aiuto gli Itinerari. L'Itinerario Antonino, la Cosmografia di Ravenna e la Tavola Peutigeriana attestano tutti che Sub Romula era una stazione sulla via Appia tra Aeclanum (la moderna Mirabella Eclano ) e Pons Aufidi (il ponte che attraversa Ofanto, di solito identificato con l'attuale Ponte san Venere). Sub Romula distava 16 o 21 miglia romane da Aeclanum-Mirabella, a seconda dell'itinerario scelto.
Oggi, a poco di 20 miglia anglosassoni da Aeclanum-Mirabella, attraverso una strada tortuosa si accede al paese di Carife, situato in collina, tra i già noti ritrovamenti archeologici. È molto probabile che Carife occupi il posto dell'antica Romulea. A tal proposito appare stimolante l'idea di prendere in considerazione le diverse monete che fanno parte di un tesoro trovato nell'area di Carife. Queste monete provenivano da molte città dell'Italia meridionale con le sue regioni costiere, dalla Sicilia e da Roma. Si deve presumere che recasse molti vantaggi al commercio e agli scambi culturali la vicinanza del Santuario in Valle d'Ansanto, il più importante di tutti i "locasacra", frequentati da tutti i fedeli del Sannio e celebrato nella letteratura antica. Il santuario sopravvisse fino al quarto di secolo dopo Cristo.
Testimonianze archeologiche suggeriscono che gli abitanti di Romulea avessero un avanzato grado di sviluppo e un apprezzabile livello di raffinatezza nella produzione e nella scelta dei loro manufatti. Sembra comunque strano che i Sanniti irpini abbiano scelto un nome così tipicamente romano come Romulea per uno dei loro maggiori insediamenti.
Si potrebbe però supporre che non solo i Romani utilizzassero il nome di Romolo, d'altronde è documentato che i romani e gli Irpini ebbero in comune almeno una tradizione: entrambi collegarono al lupo le loro origini, dunque potrebbe presupporsi che Romolo fosse un eroe non solo per i Romani ma anche per gli irpini.
A tale proposito vale la pena sottolineare il fatto che il nome Romolo (o qualcosa di molto simile) sopravvive ancora oggi nell'area irpina, proprio a sud e un po' a ovest di Avellino c'è una montagna, alta 2600 piedi, chiamata Romula.

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