La maialata
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- Pubblicato: Giovedì, 05 Febbraio 2009 21:04
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La Maialata,o più correttamente l’Uccisione del maiale,è uno degli avvenimenti più importanti nella storia della cultura contadina montecalvese,legata al necessario sacrificio di un animale prezioso e ricco , di cui non si butta via niente.
Fin dall’antichità e in specie nella tradizione dei Sanniti *(Benevento ha nel suo stemma la rappresentazione di un cinghiale – S.P.Q.B.) e dei Romani, e di poi nella tradizione medioevale,l’allevamento e la cura dei maiali,ha rappresentato una importante voce dell’economia agropastorale,anche per la presenza di vaste estensioni di quercete e di boschi,di cui ci rimane la memoria in alcuni toponimi (C/da Cerreta ).
Il maiale*come riserva di proteine per il lungo inverno,un sicuro riferimento per la sopravvivenza del nucleo familiare.
*(Nella tradizione e nella pratica comune,il Porco diventa Maiale solo dopo la castrazione,che segue riti e procedure complesse,nel mentre al femminile si ha l’esatto opposto, la femmina che si riproduce diventa orgogliosamente Scrofa,quella castrata rimane Porca-Troia ,con il naturale accostamento alla pratica del meretricio,fatto a scopo di lucro e/o di piacere,ma non di riproduzione,o anche per la naturale propensione della femmine di questa specie ad accoppiarsi frequentemente e continuamente,anche nei periodi di gestazione).
Nell’alto medioevo nasce e si concretizza la figura del Porcaro(Pastore di porci),ultimo nella scala sociale e assimilabile allo stesso animale che pascolava.
Il porcaro non era,quasi mai, proprietario dei porci,che si appartenevano ad alcune ricche famiglie, a ricchi commercianti e alla Chiesa*
*(Nella tradizione religiosa montecalvese,e fin dal 1700 i Frati Francescani di Montecalvo,solevano allevare 2 maialini chiamati,devozionalmente Francesco e Antonio,che pascolavano,liberamente per il territorio,identificati con nastri rossi e marchiati a fuoco.Chi li incontrava o il proprietario del luogo ove si fossero fermati per pascolare,aveva l”obbligo”devozionale di accudirli e rifocillarli,considerando una sacra benedizione averne ricevuta la beneaugurante visita. Senza dimenticare S.Antonio abate,protettore degli animali e raffigurato quasi sempre in compagnia di un porco).
La notoria sporcizia dell’animale abbinata ad una sua indiscussa utilità e ricchezza,diede vita ad un ambivalente rapporto,fondato sul bene e sul male,in una strana convivenza che attraverserà tutto il medioevo.
L’influenza araba,favorita dal regno di Federico II e che considerava il maiale un animale immondo,sulla scia degli insegnamenti di Maometto il profeta,condizionerà i rapporti e gli scambi commerciali,sebbene nella tradizione sud europea si troveranno i soliti compromessi esistenziali .
Il maiale diventa simbolo del male,anche la religione Copto-Cristiana assimila le legioni diaboliche alle mandre di porci,responsabili delle possessioni che colpiscono particolarmente le donne,specie quelle di malaffare,il cui influsso malefico ci porterà alla stregoneria e alle magie delle Janare.
Si arrivò a pensare che ad evitare il malefico influsso dell’animale,bastasse procedere a formule benedicenti o cerimonie di espiazione,o almeno a riti purificatori,prima dell’uccisione della bestia.
La tradizione di non mangiare le carni del maiale,appena macellato, nasce da questo aspetto depurativo,come invece la cottura degli organi interni(polmoni,fegato e cuore) trova naturale continuità con gli Aruspici e la pratica antichissima di presagire il futuro dalla lettura degli organi che proviene direttamente dalla religione etrusca,(fegato etrusco),per arrivare alla cultura pastorale,intrisa di fede e magia.
Sporco,pericoloso,immondo,malefico e pure necessario!
Combattere il male assoluto,mangiandone ogni parte o esorcizzarlo utilizzandone i componenti.
Se il Capro espiatorio,quasi sempre di colore nero, era la rappresentazione del male ,nella tradizione Giudaico-Cristiana e nella parte sud del mondo,la stessa valenza avevano i Cinghiali per le popolazioni del Nord , (con una religione psueudo-animistica e poi guerriera come la celtica).
Cinghialetti selvatici
In entrambi i casi si prelevavano i simboli della loro forza(Pelli,denti,unghie o l’intera testa),per esorcizzarne la forza maligna,dopo averne consumato le carni, cotte al fuoco purificatore e dopo inevitabili cerimonie propiziatorie e/o religiose.
La deforestazione operata dai romani e proseguita per tutto il medioevo e fino alla metà del 700,per ricavare terre da coltivare e legna da ardere e tronchi per costruire case e navi,comporterà la lenta inarrestabile scomparsa dei cinghiali in buona parte della nostra regione e l’inizio della pratica del loro allevamento.L’insana politica del profitto assoluto,ha decretato l’estinzione di molte razze,favorendo quelle poche e sempre più gracili, destinate alla produzione di grandi quantità di carne,a tutto danno della Biodiversità.
Con la riscoperta di alcune razze indigene (cinta senese,maiale nero di capitanata..) e il loro indiscusso valore ambientale e gastronomico, si sta recuperando un nuovo spazio culturale ancorché commerciale,con un ritorno alla antica pratica del maiale allevato(anche allo stato brado o in grandi quercete recintate) e macellato in fattoria ,ripristinando i millenari metodi e procedure di conservazioni delle carni.
Questa tradizione,ancor viva nelle campagne Montecalvesi,ha comportato lo svilupparsi di alcune aziende artigianali che stanno conquistando,con i loro prodotti,significativi spazi commerciali,anche a livello nazionale.
I salumi montecalvesi,una vera realtà imprenditoriale,testimoniata dalle Aziende:
Salumificio Montecalvese;
Salumificio Tufo
Salumificio Alimenta
Salumificio Pappano
Salumificio Gelormini
In altre regioni italiane,come l’Emilia Romagna,il maiale è il vero re della gastronomia,parte integrante della cultura e del paesaggio,di cui se ne tessono le “lodi” e se ne partecipa il valore fin da piccoli,senza dimenticare la cittadina di Norcia in Umbria,patria si San Benedetto e indiscussa capitale dei salumi,da cui derivano i termini universali della gastronomia(norcineria).
La festa di contrada che accompagna l’uccisione del maiale ha un retaggio ancestrale e il suo carattere scambievole e itinerante sintetizza l’evoluzione dell’uomo,con il perpetuarsi di riti e gestualità,di cui non se ne conosce l’origine ma che si ripetono fin dalla notte dei tempi,spesso inconsapevolmente,alimentando il fascino per l’antropologia.
Ancora oggi,infatti, si usano cucinare e degustare con il Fritto*,i soli organi interni del maiale,quasi a volerne esorcizzare l’intero corpo.
Il sapiente utilizzo del sangue che viene,raccolto e conservato,bevuto ancor caldo o cucinato
( sanguinaccio,maccheroni con il sangue…),nasceva dalla necessità di dare un forte apporto proteico agli anemici e ai soggetti la cui alimentazione, basata sulle granaglie e sui frutti della terra,era proteicamente scarsa e anche perché la pastorizia era finalizzata alla massima redditività delle bestie vive e non alla loro macellazione.
La tecnica di conservazione delle carni,rimanda alla tradizione e alla affumicatura con legno di quercia e solo successivamente alla salagione,allorché si infittirono i rapporti con le genti delle coste e si sviluppò la transumanza.
Le interiora servirono da sacchi naturali per conservare la carne dello stesso animale, quella carne cioè che non si poteva conservare in un pezzo unico e che andava rimossa dallo scheletro.
Si pensi alle salsicce di Pignata*,fatte con la carne più povera del maiale ma che danno un sapore particolare e profondo al palato
Salsicce di Pignata
(*Salsicce che venivano cotte nella pignata,quale condimento intrinseco e per insaporire,le verdure,i fagioli e altri elementi vegetali ,che si arricchivano di grassi e proteine animali).(Le salsicce di pignata sono diventate col tempo una prelibatezza,quel che erano salsicce di serie B sono diventate le più ricercate,forse perché la lavorazione delle carni deve essere fatta esclusivamente a punta di coltello,per la coriacità delle carni da scheletro e la presenza di grasso corposo,legato alle parti del corpo più muscolose).
La cultura del lardo( in pezzi interi) e della sugna (nelle vesciche),quali componenti energetici per chi lavorava nei campi e per la creazione di difese naturali per il lungo inverno,la dicono lunga sul valore di investimento(capitale) di un animale che,per tale motivo, viveva il più possibile vicino alla casa del contadino,con funzione di spazzino ante litteram,in una organizzazione economica rurale dove non si buttava via niente e dove tutto veniva riciclato e riutilizzato.
Ogni paese ha una sua tradizione per la cottura delle carni del maiale,a Montecalvo,oltre quelle che sono ormai entrate nella tradizione italiana,resistono alcune specialità legate al territorio:
Le orecchie del maiale vengono messe ad essiccare e affumicare nella cucina dove alberga la “focagna”(caminetto per uso di cucina),e sono utilizzate principalmente per la cottura con i fagioli secchi in una apposita Pignata,che cuoce vicino al fuoco,poggiata a terra proprio vicino alla brace.
(*Il fritto è come detto ,il piatto commemorativo della uccisione del maiale e seppur con alcune varianti, è tipico di Montecalvo e viene fatto in questo modo:
In un “ Tiano” (tegame di terracotta) si fanno friggere con la sugna, patate e peperoni alla mantegna (conservati sotto aceto in un apposito barile chiamato mantegna),tagliati a pezzi grandi per mantenerne la fragranza,con uno spicchio di aglio intero ( con pellicola).
A cottura quasi ultimata,le patate e i peperoni vengono tolti e vengono aggiunti il polmone e il cuore del maiale fatto a pezzi,solo a quasi fine cottura si aggiunge il fegato di maiale fatto a pezzettini,fino alla completa cottura,con l’aggiunta dei peperoni e delle patate,tolte anzitempo.
Il piatto viene salato alla fine , per sopperire al senso di dolce e per non alterare il retrogusto degli alimenti combinati in agrodolce.
Una vera bomba di grassi e proteine,innaffiato da abbondanti bevute,esclusivamente di vino novello,la cui componente acidula dovuta alla interazione dei residui del raspo d’uva,attenua la forza del piatto dando compiacimento al palato.
Fasulata (Panella richiena di fasuli cu la cotica)
Memorabili le panzanelle di Pane di Montecalvo di grano duro,nell’olio soffritto.
Nella tradizione montecalvese,ricorre un noto proverbio che, saggiamente,suggerisce sul come approcciarsi al prossimo,specie nella scelta di una ragazza da sposare:
“Quannu hai da accattà lu puorcu,hai da vedé la mamma !
Montecalvo Febbraio 2009
Appendice
Il Porco
Che strano destino,ha,questo animale
Cresciuto con amore e solo da ammazzare
Tenuto da conto come un reale
Per farlo a pezzi e poi sotto sale
Nessuno lo rimpiange e nessuno ha un ricordo
Non lascia emozioni,solo carne e lardo
Eppure è l’animale più a noi familiare
Gli vogliam così bene,da farcelo mangiare !
Dott.Antonio Stiscia