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La comunità romana di Tressanti

PRESENTAZIONE

Raccogliamo e pubblichiamo questi due scritti così come essi sono stati redatti e lanciati nel vasto iperspazio del Web tramite il sito “Irpino.it”.
Scritti che registrano quasi alla lettera, oltreché i primi appunti, anche i dialoghi e i discorsi tenuti prima di tutto tra noi due autori e poi tra noi con altri amici, durante i sopralluoghi nel territorio di Tressanti di Montecalvo, nell’agosto 2003.
Segnatamente con Alfonso Caccese, Franco D'Addona e Franco Cardinale.
La genesi del primo scritto (“Anzano”) è presto detta.
Nell’udire un giorno un certo nome, “Anzano”, uno di noi, modesto praticante di linguistica diacronica e di toponomastica, sentì nel suo orecchio uno squillo di campanello.
Il proseguimento potrete trovarlo nel primo capitolo della Parte Prima. Nacque così la formulazione dell’ipotesi principale della nostra ricerca.

Poi, il linguista, mentre andava a spasso per campi arati in quel di Pratola di Tressanti, inciampò (letteralmente), e così successe anche agli amici ricordati sopra che erano con lui, in una miriade di reperti sparsi tra le zolle. Il linguista, a quel punto, fu sospinto ad invadere il terreno alieno dell’archeologo e , più tardi, anche quello dell’epigrafista latino. Ha fatto bene? Lui crede di aver soltanto supplito alla palese incuria di altri specialisti, forse più fortunati di lui quanto a residenza prossima ai luoghi, ma , molto probabilmente, meno curiosi e amanti della comune terra d’origine. Noi, per un certo verso, abbiamo raccolto il testimone passatoci dai benemeriti nostri antenati, i quali, a partire da poco prima della fine del XVIII sec. (Settecento) e sino ai primi decenni del XX (Novecento), trovarono, decifrarono e denunciarono alle autorità preposte dell’epoca il dissotterramento, a Piano di Anzano e dintorni,  di tanti reperti che noi, in vena di scrivere in modo ricercato, abbiamo chiamato “reperti litici impreziositi da iscrizioni”. Monumenti parlanti che sarebbero diventati subito muti se non fossero stati registrati, dopo la segnalazione dei ritrovatori, nel Corpus Iscriptionum Latinarum (C.I.L.) (v. Vol. IX, registr. con i nn. 1421, 1423, 1431,1434,1446, e altri meno importanti), raccolta edita dal grande Theodor Mommsen. I nomi dei benemeriti nostri antenati che ritrovarono le lapidi con le epigrafi latine sono: il dott. Gaetano Rèndisi (ep. N. 1421, su “Mefiti solvit”), l’arciprete Donato D’Agostino ( ep. n. 1423), Carlo Pizzillo (ep. n. 1434), Giuseppe Pizzillo ( ep. n. 1446), Nicolamaria Lanza (ep. non repertata dal Mommsen, su “Ofillia Quintilla”). (v. APPENDICE)
Ma, ai nostri giorni, dove e in quale stato sopravvivono le suddette lapidi? Una è diventata lo scalino risagomato e scempio di uno scantinato di palazzotto in rovina (la n. 1431), un’altra l’incastonatura  di un muretto di giardino (la n. 1446) (per lustro o informazione ai passanti?), un’altra il coperchio di una testa di fontana a Pratola (non registrata). Quest’ultima, almeno, è rimasta in prossimità del sito originale anche se esposta alle intemperie (vi si parla di un certo Q. F. Rufus, probabilmente Q. Pompeus Q. f. Rufus , console collega di Lucio Cornelio Silla nell’88 a.C.?). Altre, formuliamo questa pia e speranzosa ipotesi, saranno forse depositate negli scantinati di qualche museo delle nostre parti, in attesa di essere studiate. Volete sapere come terminano quasi tutte le annotazioni latine apposte dai curatori del C.I.L. alle registrazioni  delle lapidi di Tressanti?
“Frustra quaesivit Dressel”. Cioè, “Inutilmente ne andò in cerca Dressel”. Dressel  era uno studioso tedesco  collaboratore di Theodor Mommsen, il curatore di quell’immensa e quasi esaustiva raccolta di iscrizioni latine ovunque trovate nel vasto spazio su cui si espanse la romanità.
Be’, noi crediamo di avere cercato umilmente sulle orme del Dressel le nostre lapidi, ma, speriamo, non inutilmente, come accadde a lui.
RINGRAZIAMENTI
Ci sentiamo di ringraziare tutti i residenti di Pratola e dintorni i quali si sono detti certi che lì in passato esisteva “un paese”. Ringraziamo specialmente l’informatore Agostino Lo Conte (Zi’ Austine), il quale oltre a comunicarci che il termine Anzano è ancora usato è andato anche a verificarlo presso altri residenti di Tressanti. Ringraziamo anche alcuni componenti della famiglia  De Furia di Tressanti i quali ci hanno indicato con precisione il confine in direzione di Pratola de La Macchia di Anzano. Altri membri della famiglia  Lo Conte ci hanno indicato la piccola altura denominata Casa di la Corte e la presenza, a livello di scantinato di nuove costruzioni, di basolati. Una conferma sulla dispersione di alcune importanti lapidi con epigrafi provenienti da Tressanti è stata data (a me M.S.) da Gianbosco Cavalletti e da Franco D’Addona. Angelo Sorrentino mi ha messo (me M.S.) in contatto con l’informatore più importante: Agostino Lo Conte (Zi’ Austine). Franco Cardinale ci ha dato un’importante aiuto accompagnandoci a  Macchia di Anzano e realizzando molte foto che corredano questa pubblicazione. 
Grazie anche a  Franco D’Addona  che ci ha dato una preziosa  ed importantissima foto. Ringraziamenti anche a Roberto Padrevita, perché è stato lui a parlarci del feudo degli Anzani di Ariano, indicandocelo dal terrazzo del Museo archeologico di Ariano Irpino, che lui dirige e  si trova proprio nel palazzo Anzani.
A.Caccese – M. Sorrentino
PARTE PRIMA – “ANZANO”, di M. Sorrentino
Cap. I - Ipotesi sul nome della comunità romana
Ho trovato sul sito “Irpino.it” di Montecalvo Irpino, curato egregiamente da Alfonso Caccese, l’informazione sul ritrovamento, come possiamo dire?, non abbastanza recente (si tratta del 1911), di un cippo funerario romano a Piano di Anzano, in località Tressanti di Montecalvo. Per quanto abbia cercato, mi pare che, da allora e sino ad oggi, quel ritrovamento così importante non abbia suscitato echi.                           
OFILLIA QVINTILLA HAVE ET TU QVI
LEGIS HAVE
SI  NON FATORVM PRAEPOSTERA IVRA
FVISSENT MATER IN HOC TITVLO
DEBVIT ANTE
LEGI.
Bellissimo, commovente epitaffio. E il benemerito e fortunato ritrovatore, il quale provvide subito ad informare gli studiosi dell'epoca, fu Nicolamaria Lanza, nostro compaesano. Si tratta di una ragazza sfortunata, forse morta di parto (il suo primo, evidentemente, se non poté essere chiamata madre). Traduco letteralmente: “Salve Ofilia Quintilla / e salve anche a te che leggi. / Se i fati non fossero stati stravolti / si sarebbe dovuto leggere madre / a capo di questo epitaffio.” Ma il mio interesse si è acceso per un altro particolare della notizia. Il nome Anzano. Conosco quella zona per averla visitata insieme ad Angelo M. Siciliano. Vi è un pianoro che è stato senza dubbio la sede della centuriazione romana di quelle terre, che mi sembrano particolarmente fertili. Il primo ragionamento deve essere questo: se c’era una necropoli, e una necropoli con epigrafi in lingua latina colta, lì a ridosso c’era anche una cittadina romana. Peccato però che quelli della necropoli e gli altri reperti siano stati dispersi e dimenticati. Si sa che Silla, dopo la definitiva sconfitta dei sanniti e dei loro alleati, alla fine della Guerra Civile, nell’ 82 a.C., lanciò una vera e propria pulizia etnica ante litteram della tribù irpina, facendo trucidare tutti i maschi, inclusi i vecchi e i bambini, prima di colonizzare forzosamente questo nostro territorio. Distrusse Aeclanum sannita e la riedificò romana, fondò allora, o altri romani fondarono subito dopo, Ariano, Savignano e Corsano (stando soltanto nel nostro attuale circondario) e, evidentemente anche un’altra cittadina, nella zona che attualmente si chiama Tressanti. Il nome Anzano suona bene in concomitanza con gli altri che ho elencato prima. Sospetto che Anzano sia stato il suo nome originale, se non è stato dato da un cognome di proprietario dei campi coltivati in quel posto, in tempi più recenti. Ma mi sembra improbabile, anche perché eventuali cognomi simili potrebbero derivare dal nome della comunità romana e non inversamente (Alfonso Caccese ha accertato che nei paraggi vi sono dei cognomi nella forma “Anzani”, ma Anzani è precisamente un genitivo che potrebbe indicare la provenienza della famiglia da un posto che nella forma latina, al nominativo, era Antianus>*Anzanus).  Nel battezzare nuove centuriazioni o colonie, i romani usavano quasi sempre il nome proprio ( per l’esattezza il gentilizio, o nome tratto da quello della gens) del console, del comandante o di altro personaggio illustre che prendeva possesso della quota più importante della lottizzazione. Mettiamo: Arrius, Sabinius, Curtius, ne ricavavano l’aggettivo prediale, cioè indicante il possesso del territorio assegnato (ager) e ne veniva fuori Ager Arrianus, Ager Sabinianus, Ager Curtianus, poi diventati Ariano, Savignano, Corsano, con la caduta, per sottinteso, di Ager. E Anzano? Da Ager Antianus, che voleva dire Ager di Antius, nome gentilizio romano. Come si vede, sto formulando un’ipotesi argomentata sul nome originale della cittadina romana che si trovava a Tressanti. Una ricostruzione che mi sembra solidamente fondata  sul principio ben presente agli studiosi di toponomastica che possiamo chiamare resistenza nel tempo dei nomi di luoghi, resistenza che perdura anche dopo la scomparsa delle comunità designate da quei nomi. Anzano potrebbe essere perciò un relitto linguistico, che fa il pari con il cippo trovato da Lanza, su un piano solo apparentemente più solido. Il nome ha sfidato i secoli, se esisteva ancora nel 1911 (non so se sopravvive tuttora in bocca ai residenti del posto).
Una prova di raffronto è data dall’esistenza nella toponomastica italiana di due paesi ancora abitati che hanno lo stesso nome: Anzano di Puglia (detto Irpino, sino al 1862), in provincia di Foggia, e Anzano del Parco, in provincia di Como. Questi due toponimi sono stati ricostruiti da noti studiosi  come Olivieri per Anzano del Parco, e da Schulze e Rohls, per Anzano di Puglia (v. Dizionario di Toponomastica Italiana, Utet, Torino, 1990.).
Al confronto con Anzano il nome del nostro Comune capoluogo, Montecalvo, sfigura un po’, almeno per quanto concerne l’antichità e la correlazione al nome storico di un fondatore. La mia ipotesi, raffrontata sempre a studi di toponomastica ben fondati, è che indichi una comunità a cui non è mai stato dato un nome diverso da quello puramente geografico e descrittivo dell’aspetto fisico del luogo. Forse ciò è dipeso dal fatto che la nostra comunità fu formata da gente che arrivava alla spicciolata, in fuga da eventi bellici o altri disastri, come terremoti, pestilenze o altro, gente di provenienza diversa, che cercava protezione all’ombra del castello normanno, dopo il Mille (ciò non esclude una data di arrivo anteriore per i primi gruppi) e a mille e più anni dalla fondazione della comunità che mi piace senz’altro chiamare Anzano.
Sempre su Montecalvo c’è da dire che di posti chiamati così ve ne sono a bizzeffe in Italia. E meno un altro paio di comuni, tutti posti spopolati e brulli. Uno, Monte Calvello, guarda addirittura i montecalvesi da sopra Casalbore. Un altro è nei paraggi di Benevento. Un altro ancora è nella Daunia. Ve ne sono alcuni che anziché monti si chiamano pizzi ma sono sempre calvi. Sono nella quasi totalità luoghi disboscati in varie epoche per fornire legname per la costruzione di flotte romane (v. oltre il Cap.III di questa Parte Prima), per ottenere pascoli (e in questo caso, anziché al taglio, si ricorreva all’incendio del bosco), per la ripresa delle coltivazioni dopo il Mille, ecc.
Peccato, perciò, che mai nessuno abbia pensato di dare al nostro paese un vero e proprio nome. Il motivo fondamentale probabilmente è stato che la gente che gradatamente lo fondò veniva da comunità diverse, aventi diversi nomi, e nessun gruppo poté prevalere al punto di spuntarla con il dare alla nuova comunità il proprio nome di provenienza.
Queste mie sono ovviamente ipotesi, per quanto argomentate. Ma dimostrare che sono infondate è altrettanto difficile che dimostrare il contrario. (Bologna, 2 luglio 2003)
Cap. II – Conferma dell’ipotesi sul nome.
Dopo vari sopralluoghi fatti da me e dall’amico Alfonso Caccese, come anche da me in compagnia di Gianbosco M. Cavalletti e Franco D’Addona, sul luogo di Tressanti chiamato dai residenti Pratola, sono giunto alla conclusione che l’ipotesi sul nome originale della comunità romana – Anzano – sia fondata su dati oltre che di linguistica storia (v. supra Cap.I “Ipotesi…”), anche di geografia paesaggistica e di urbanizzazione antica. Pratola è un pianoro di circa 800 mt. di lato, diviso in quarti da un incrocio ortogonale di vie di campagna, probabilmente corrispondenti ancora oggi al decumano e al cardo massimo di un insediamento romano. (Ad onor del vero uno dei bracci della croce è segnalato soltanto dalla diversità colturale degli appezzamenti). L’orientamento delle due vie, non essendoci stato possibile verificarlo con strumenti quali bussola o altro, ci è sembrato non esattamente quello classico degli accampamenti e delle centuriazioni romane, cioè EST-OVEST e NORD-SUD. Con approssimazione a occhio sembrerebbe NORD/EST – SUD/OVEST e SUD/EST – NORD/OVEST. Ma non ci sentiamo di escludere un valore molto più vicino all’orientamento classico di quello che ci è parso a noi. Notoriamente in molte urbanizzazioni i gromatici ( gli agrimensori romani ) adattarono lo schema classico alla giacitura dei suoli. Dall’informatore residente sino a poco tempo fa in zona, sig. Agostino Lo Conte, ho appreso che sia i suoi genitori che altri agricoltori vicini di Tressanti usarono e ancora usano il toponimo Macchia di Anzano. Questa informazione, oltre che essere stata confermata allo stesso Lo Conte dai suoi ex vicini della campagna di Tressanti durante un suo giro di visite fatto appositamente per noi, è stato confermato direttamente a me stesso da un componente della famiglia De Furia residente precisamente nel luogo indicato con il suddetto toponimo. Macchia di Anzano è ancora usato per indicare il costone che confina verso sud con il pianoro da noi ritenuto il sito dell’insediamento romano e che attualmente viene denominato Pratola. Pratola indica chiaramente che il luogo era coperto in una certa epoca da prati (Pratola da “pratula”- Nom. pl. di “pratulum”) Per me, lo è stato presumibilmente a partire dall’abbandono della città, a causa di un evento o serie di eventi che ci sono sconosciuti, e sino ad epoca relativamente recente ( seconda metà del Settecento), allorché il terreno è stato dissodato di nuovo per la coltivazione con aratri tirati da pariglie di buoi. I prati ricoprirono i ruderi della città e il nuovo toponimo prese il posto di quello classico, ma l’aratura a scasso profondo fece riaffiorare, anche se distruggendoli e disperdendoli, i manufatti civili dell’insediamento. A testimonianza di ciò da allora sono stati fatti numerosi ritrovamenti di lapidi, laterizi, terraglie (lucerne ad olio, giocattoli di terracotta, ecc.) della città antica rimasta a lungo sepolta sotto i campi a pascolo. E i frammenti minuti di tali manufatti ancora affiorano e restano visibili tra le zolle di Pratola. Come ci ha testimoniato un agricoltore della zona, che stava appunto arando col trattore durante un nostro sopralluogo, ancor oggi non è possibile fare l’aratura a scasso profondo oltre i 60 cm. Perché oltre tale profondità cessa la terra nera e soffice e il vomere viene impegnato duramente da pietre da costruzione e laterizi. La sopravvivenza del toponimo soltanto orale Macchia di Anzano costituisce secondo me una prova più che certa dell’esistenza del nome Anzano, anche se l’espressione per intero si riferisce ad una zona contermine a sud del pianoro su cui sorgeva la comunità. Con buonissima probabilità nel termine Macchia resiste il ricordo tradizionale del Saltus (qui, bosco in quota) che sovrastava l’area coltivata e urbanizzata, secondo l’opposizione funzionale ben nota ai paesaggisti storici di Ager/Saltus. Fortunatamente, come attestano le trascrizioni latine raccolte nel Corpus Iscriptionum Latinarum, è rimasta una traccia certa dei ritrovamenti in loco dei reperti litici impreziositi da iscrizioni. Purtroppo tali reperti risultano quasi tutti scomparsi o adibiti a usi, a dir poco, impropri (v. supra Presentazione). Una menzione a parte merita la sorte di una lapide trovata a Tressanti, il cui epitaffio è stato registrato nel suddetto C.I.L. vol.IX, con il n. 1431. Commissionato da un certo C. Babidius Niger, in memoria della sorella e della moglie morte giovanissime, sopravvisse nella forma irrimediabilmente mutila, e come scalino di scantinato:
“…FRIA-Q-L-PHILUMINA / VIXIT-ANN…/ C-BABIDI…/ SOR…”
Mentre l’originale era la seguente:
BADINIA-C-L-PSYCHARIVM
VIXIT-ANN-XVI
FAFRIA-Q-L-PHILVMINA
VIXIT-ANN-XXVI
C-BABIDIUS-C-L-NIGER
SORORI-ET-VXORI-FECIT.
La presenza  in posizione SUD/OVEST di una eminenza del terreno che potrebbe coprire dei ruderi rilevanti viene denominata dai residenti Casa di la Corte. Secondo me (e spinto da una intuizione di mia figlia Angela)  potrebbe trattarsi del presidio militare fortificato.  La nostra ricostruzione fa risalire Corte a  cohors-cohorsis…-cohorte(m). (Montecalvo Irpino, 24 agosto 2003).
Cap.III – Il fondatore, Anzio Restione.
Il fondatore di Anzano. Con buonissime probabilità basate su informazioni storiche scritte di quel periodo (I° sec. a.C.) potrebbe essersi trattato di Antius Restio (-nis) o di suo figlio omonimo, C. Antius Restio. Il primo Antius era del partito di Silla nella Guerra Civile, la quale finì oltre che con la sconfitta di Mario e dei soci italici, ( che ancora resistevano ai romani dalla fine della Guerra Sociale – 89 a.C. ) anche con la definitiva conquista del Sannio, in generale, e dell’Irpinia, in particolare. Anzio Restione era della Gens Antia, originaria della città di Anzio, famiglia diventata senatoria del partito patrizio capitanato da Silla, e ciò non esclude che egli abbia partecipato alla spoliazione dell’Irpinia da parte dei vincitori. Probabilmente fondò sia l’attuale Anzano di Puglia che il nostro Anzano ubicato nell’attuale Pratola di Tressanti. Creare nuove colonie, e per giunta in territorio di ex nemici non del tutto pacificati, non veniva affidato al primo venuto. In seguito sembra che il figlio di Anzio abbia rotto con Silla o almeno con il partito degli ottimati. Il padre propose una legge “sumptuaria” (questo genere di leggi erano emanate contro il lusso e la corruzione) in cui si proibiva ai magistrati di partecipare a cene con persone interessate all’attività amministrativa o giudiziaria degli stessi magistrati ( vecchia storia, no?) (v. Gell. , N.A. 2,24,15).Il figlio del nostro fondatore fu lodato da Cicerone, sia pure con allusione indiretta (IV, Ad Att.16) e sembra che erigesse a suo padre una statua, però a Cuma. Che la famiglia abbia stabilito, dopo la fondazione dei due Anzani del Sannio, il suo centro in quella città? Quante informazioni sono contenute in un nome romano! Nel nostro caso, specialmente nel soprannome. Per un senatore sembra molto strano essere soprannominato il “Cordaio”, o Funaio, perché questo voleva dire “restio – restionis…”
Guardiamo la cosa più da vicino. Un discendente della Gens Antia, famiglia proveniente da Anzio e molto probabilmente sino a poco prima abbastanza oscura perché designata non da un nome personale di capostipite ma soltanto da una forma aggettivale di provenienza, diventa ricco al punto che viene accettato tra gli ottimati di Silla, schierandosi con essi contro i popolari di Mario (e i soci  italici che ancora combattevano contro Roma). Viene accettato prima lui e poi il figlio omonimo nella classe senatoria (v. Gell. 2, 24, 13 e VISCONTI, Iconogra. Rom.) acquistando evidentemente lo status superiore in quanto cavaliere arricchito e per meriti politici di partito. Bene, questo senatore tollera e anzi trasmette al figlio il soprannome di Cordaio. Molto probabilmente, da vero parvenu, ne era orgoglioso perché attestava le sue capacità di riuscita nella vita. Il mestiere di famiglia  in un porto importante come Anzio era diventato una attività di grande  manifattura. Aveva permesso alla famiglia un rapido arricchimento con la fornitura di cordame alle flotte militari e  commerciali che erano varate in quel porto o lo toccavano per viaggi e traffici. Quante migliaia di navi costruirono, usarono e distrussero i romani in quel periodo in cui incominciava il dominio pieno del Mediterraneo da parte loro?
Delle vicende politiche del primo Anzio Restione e di suo figlio ho già parlato. Ora seguiamoli nella loro opera di colonizzazione in Irpinia. Poteva un grande imprenditore navale quale era molto probabilmente Anzio Restione, ritrovandosi in un territorio collinare ricco di boschi primigeni, quale doveva essere l’Irpinia di allora, poteva questo armatore senz’altro un po’ furbacchione, disinteressarsi dello sfruttamento dei boschi per il fabbisogno crescente di legame per navi? Che i boschi fossero rimasti sino ad allora  intatti era dipeso dal fatto che i nostri antenati irpini si servivano di essi soltanto per raccogliere legna da ardere, allevare maiali allo stato brado, adorare la dea della quercia Kerres (cfr. le tavole votive di Agnone), e per poche altre attività di sfruttamento primitivo, quando non li distruggevano con gli incendi per favorire l’espansione dei prati da pascolo. La nuova colonia era una miniera d’oro proprio per i suoi alberi, grandi alberi centenari di cui difficilmente oggi possiamo farci un’idea, con sotto gli occhi la misera vegetazione delle nostre zone. Per averne un’idea, basta visitare la foresta Umbra del Gargano. L’ipotesi che i colonizzatori si siano arricchiti con gli alberi dei boschi vicino ad Anzano potrebbe spiegare il relativo benessere segnalato dal fatto che lì venissero commissionate lapidi costose per i defunti ed altro. Restano del resto attestati molti gentilizi illustri sulle lapidi superstiti. Il taglio sistematico degli alberi d’alto fusto, oltre a spiegare l’origine dei tanti “montes calvi” della zona (v. Cap. I), spiega anche il relativo abbandono, quasi desertificazione, dei nostri monti più alti privati dei boschi. Credo, inoltre, che non possa esserci dubbio che quei fini e cavillosi giuristi che erano gli amministratori romani non abbiano tralasciato di aver definito giuridicamente la destinazione d’uso del terreno boscoso e che delimitandolo come Ager o Saltus Publicus ne abbiano consentito lo sfruttamento da parte dei privati contro il pagamento di tributi al Fiscus. “Calvus” era molto probabilmente il suggello ufficiale che attestava il definitivo disboscamento del monte o colle così designato. Ipotesi queste nostre, ma ragionate e appoggiate alle poche tracce documentarie scritte riguardanti il nostro territorio fuori mano.  La Gens Antia si ritirò a Cuma, dove il figlio fece fare al padre una statua di cui dovrebbe esserci traccia da qualche parte (v. VISCONTI, op. cit.) forse perché iniziava la stagione dell’erezione di vaste villae da parte dei romani ricchi nei bei posti della Campania vicini al mare. Le ville, da grandi aziende agricole che erano all’inizio, diventarono ben presto luoghi splendidi e lussuosi per la villeggiatura e i piaceri. Ma anche in questo caso, come si sa, a sostegno dei piaceri doveva esserci un’intensa produzione agricola specializzata, oltre che una produzione artigianale, affidata a ciurme di schiavi. Gli schiavi romani, gli antichi antenati dei servi del Medioevo. Ma questa è un’altra storia.
PARTE SECONDA
LA VIABILITA’ COEVA AD ANZANO - di  Alfonso  Caccese
Cap.I  -  Da Roma a Benevento.
L’immagine (1) costituisce lo schema storico geografico  di quanto esporrò nelle righe seguenti. Esso è un triangolo ai cui vertici sono localizzati i centri più importanti per la nostra esposizione: Malventum – Aeclanum – Aequum Tuticum.
Lo studio del territorio e l’intreccio degli antichi percorsi, che tra  “selle e valli”, s’inoltravano nella nostra zona, è di fondamentale importanza per determinare l’esistenza d’insediamenti Romani, alcuni già conosciuti altri da riscoprire, tanto da farne uno dei punti  più importanti geograficamente a Sud di Roma. Si hanno notizie storiche, di numerose altre civiltà che si sono sviluppate e succedute, intorno alle rive di questi  fiumi e delle valli, già dal quarto millennio a.C . Etruschi, Oschi  e  Sanniti - Irpini, nelle varie epoche, hanno lasciato copiose tracce delle loro civiltà. Prima strada d’importanza massima che arriva nel nostro territorio è la Via Appia Antica. Fu la prima e la più importante tra le grandi strade costruite da Roma. Chiamata a buon diritto la "regina viarum", essa nacque alla fine del IV secolo a.C. per mettere in diretta e rapida comunicazione Roma e Capua. L'anno di nascita della strada fu il 312: quello in cui fu censore a Roma, Appio Claudio il Cieco, il censore che la fece costruire lasciandole il proprio nome. L'ideazione seguì un piano di concezione sorprendentemente moderno, che lasciava da parte i centri abitati intermedi ( provvisti però di giusti raccordi ) e mirava diritto alla meta. La via fu perciò realizzata, superando grosse difficoltà naturali, come le Paludi Pontine, con importanti opere d'ingegneria. Il primo tratto, fino a Terracina, era un lunghissimo rettifilo di circa 90 chilometri, di cui gli ultimi 28 fiancheggiati da un canale di bonifica che consentiva di alternare il tragitto in barca a quello sul carro o a cavallo. Dopo Terracina, la strada deviava verso Fondi, quindi attraversava le impervie gole di Itri e scendeva a Formia e Minturno. Superata poi Sinuessa (l'odierna Mondragone), con un altro tratto rettilineo puntava a Casilinum (l'odierna Capua), sul Volturno, donde raggiungeva l'antica Capua (oggi S.Maria Capua Vetere). Il percorso totale era di 132 miglia, pari a Km. 195, e si effettuava normalmente con cinque/sei giorni di viaggio. Ed è proprio in quegli anni (278 a.C.) che Appio Claudio, avendo aperta, per scopi innanzitutto militari, la Via Appia, tuonava in senato contro la pace con Pirro, sconfitto definitivamente nel 275 a.C., a Maleventum , dove nel 268 a.C, i romani stabilirono una colonia  di diritto latino col beneaugurante nome di Benevento. La  conseguenza fu un'ulteriore e definitiva espansione di Roma nel Mezzogiorno, e la Via Appia fu più volte prolungata. Dapprima, subito dopo il 268 a.C. fino a Benevento, poi di là dell'Appennino, fino a Venosa e quindi a Taranto. Finalmente, nel II secolo a.C. fu condotta fino a Brindisi, porta dell'Oriente.
Cap.II - Da Benevento ad Aeclanum
Sulla continuazione dell’antica “Via Appia”, nella “ Valle Ufita Fiumarella”, percorsa dalla “Via Aurelia Aeclanensis”, confluente a Herdoniae nella via Traiana, è situata “Aeclanum”. Partendo da Benevento cosi il poeta Orazio,( Le Satire, Lib.I, V) nel suo viaggio “da Roma a Brindisi”del 37 a.C.si esprime:
” Incipit ex illo montis Apulia notos ostentare mihi, quos torret Atabulus et quos nunquam erepsemus, nisi nos vicina Trivici villa recepisset lacrimoso non sine fumo, udos cum foliis ramos urente camino”.
“A quel punto cominciano a mostrarsi i monti a me ben noti dell'Apulia, che sono bruciati dallo scirocco e che mai noi avremmo valicati, se non ci avesse ospitato un casale vicino a Trevico e tutto pieno di fumo da farci lacrimare, perché il focolare bruciava ramaglie umide e foglie”.
Aeclanum, città sicuramente sannita, in seguito romanizzata dal lento ma sistematico processo di rimozione, nelle popolazioni sannite (irpine), delle loro origini, sostanziata nella “deductio dell’Ager Taurisanus e della colonia di Aeclanum, con la deportazione in massa di un nucleo di “Ligures Baebiani”costretti ad insediarsi nel territorio sannita. Nell’82 a. C. Silla, all’epilogo della Guerra Civile, massacrò oltre 6.000 combattenti sanniti dopo la battaglia di Porta Collina, e il massacro continua in Irpinia (sino a raggiungere una cifra stimata da alcuni storici in 80.000 morti), ”scatenando una vera e propria pulizia etnica ante litteram della tribù irpina, facendo trucidare tutti i maschi, inclusi i vecchi e i bambini, prima di colonizzare forzosamente il nostro territorio.  Distrusse Aeclanum sannita e la riedificò romana, probabilmente risalente alla stessa epoca la nascita di Ager Arrianus, Ager Sabinianus, Ager Curtianus  
( Ariano, Savignano e Corsano).
Cap.III - Da Benevento ad AequumTuticum
Il percorso della Via Appia antica, dopo Benevento, diventata oramai centro nevralgico di tutta l’Italia peninsulare, fu però a poco a poco sostituito da un itinerario alternativo, più breve e più facile, che attraversava tutta la Puglia passando per Ordona, Canosa, Ruvo, Bari ed Egnazia. Nei primi anni del II secolo d.C. esso fu trasformato in una vera e propria variante dall'imperatore Traiano che le aggiunse il suo nome. Essa s’inoltrava tra i confini della “valle del Calore” e la “valle del Miscano”. Fiancheggiando il fiume si snodava lungo i  pendii sotto Buonalbergo ( antica Cluvia ) e Casalbore, e costituiva, da Benevento, la seconda parte dell’itinerario  “ A Roma ad Brundisum et Traiectum. Si incrociava a monte di Buonalbergo e Casalbore  con la “Via Herculia” ( ramo superiore, da “Aufidena” ad “Aequum Tuticum”), uno dei centri Sannita più importante ed antico, riconosciuto dal Mommsen come il “Cardo viarum” a sud di Roma più importante e per l’“Itinerarium Antonini”( II°- III° secolo d.c.), “terminale ed il capolinea degli itinerari per esso passanti”, lo storico “Gran crocevia Centro – Meridionale” .La Via Appia Traiana attraversava il fiume in località S.Spirito. ( Il ponte di S. Spirito, chiamato anche Ponte del Diavolo, risalente al II sec. d. C., si trova lungo il tracciato della via Traiana, alla confluenza del torrente Ginestra con il fiume Miscano).
Con la nuova strada era possibile andare da Roma a Brindisi in 13/14 giorni lungo un percorso totale di 365 miglia pari a poco meno di Km. 540. Ogni 7 o 9 miglia nei tratti più frequentati (Km. 10/13) e ogni 10 o 12 miglia in quelli meno importanti (Km. 14/17), si allineavano lungo la strada. Le stazioni di posta per il cambio dei cavalli unitamente a luoghi di ristoro e di alloggio per i viaggiatori. In prossimità dei centri abitati la strada era fiancheggiata da grandi ville e soprattutto da tombe e monumenti funerari di vario genere. Dell'antica strada il tratto che da Benevento, scavalcando l'Appennino, conduceva a Venosa, è quello più conosciuto. Il primo riferimento, nella nostra zona, è il grandioso Ponte Rotto, a dieci miglia romane da Benevento in direzione di Eclano, secondo quanto è segnato nella Tabula Peutingeriana, la Via Appia attraversava il Calore su un ponte monumentale di cui ci restano oggi le insigni vestigia nella località  denominata Ponterotto, nei pressi dell’odierna Apice, denominazione che deriva appunto dai detti ruderi grandiosi, superava il fiume Calore a nord di Castello del Lago al quale si giunge lungo strade campestri e giunge, dopo aver superato i casali Piatto e Petraro, sotto Mirabella Eclano, da dove coincide con l'attuale Via Appia . La Via Appia, in questa località distava, (circa quattro miglia), dal nostro Anzano e questo spiega più che sufficientemente l'importanza dell'ubicazione di questa comunità. Anzano era molto più importante dei centri che saranno romanizzati nella valle del Miscano, perché prima di tutto sorsero almeno duecento anni dopo e poi perché i rapporti nevralgici per avviare le guerre con Taranto e poi conquistare l'Epiro e la Grecia passavano dal vecchio tracciato. Del resto, se si pensa  all'importanza di Benevento e di Eclano, si capisce che la traiettoria più rapida era per la valle dell'Ufita. Probabilmente luogo d’importanza strategica per le centuriazioni romane per il controllo del territorio ed interesse economico, per la presenza di terreno fertile da coltivare e boschi primigeni da sfruttare per la produzione di legnami e tutto quello connesso all’industria bellica dell’epoca. Punto strategico anche dal punto di vista del traffico commerciale per la sua equidistanza tra il Tirreno e l’Adriatico. Dall’Ager Antianus, infatti, era facile raggiungere Aecae (Troia) e la colonia romana di Lucera per poi  dirigersi a sud verso Brindisi e a nord verso Pescara 
( Aternum ) e dall’altro versante, raggiungere tutti i maggiori centri esistenti a sud di Roma.
Cap. IV – Ipotesi finale
Ad avvalorare l’importanza della cittadina da noi individuata è la scoperta d’epigrafi tombali e non, che testimoniano il passaggio e la permanenza di famiglie gentilizie romane .  I riscontri e la tipologia  del luogo, cosi come riscontrato dal Sorrentino, ne rafforzano l’ipotesi.  Un’ipotesi, che potrebbe in qualche modo, preludere ad un nuovo ragionamento sulla nascita e sulla popolazione che dopo alcuni secoli avrebbe occupato il colle di Montecalvo. L’”Ager Antianus”  è  circondato dall’Ager Curtianus  (Corsano), a poca distanza da “Forum Novum”,(vicus di FornoNovo ), presso il rione Sant'Arcangelo, oltre Paduli, separato da crinali dalla “Valle Ufita Fiumarella”, ed in direzione Nord-Ovest, dal colle montecalvese.
Raggiungibile tramite un sentiero, tutt’altro che impervio per l’epoca,  dopo circa un miglio, il colle di Montecalvo,  offriva un ottimo punto d’osservazione di tutta la “Valle del Miscano”, e per ragioni prettamente difensive o forse, per eventi catastrofici, quali terremoti e quant’altro, anche  un ricovero sicuro alla popolazione. In seguito disboscato, per esigenze militari e commerciali, diventa ”mons calvus “servirà  ad erigere una  fortezza militare difensiva, a difesa della “valle” le cui tracce sono ancora riscontrabili nelle antiche rovine del “ palazzo ducale”. Con la caduta dell’impero Romano, e l’avvento dei longobardi inizia la fase di declino per queste popolazioni costrette a riparare in luoghi ove meglio difendersi dagli invasori. E cosi anche per le genti  dell’“ager Antianus” inizia l’emigrazione, e con molte probabilità, insieme con altre genti che risalivano la valle, si arroccheranno in cima al colle di Montecalvo dando origine ad una nuova comunità che anche nel periodo oscuro del Medioevo manterrà la sua centralità rispetto agli altri insediamenti diventati per lo più centri di pastorizia o, addirittura scomparsi nel nulla.  Questo è quello che, alla luce di ricognizioni fatte con criterio scrupoloso e documentato, crediamo   poter dare per certo, anche se la presenza dell’uomo nella “valle del Miscano”, potrebbe avere un’origine più lontana nel tempo.
CONCLUSIONI
Gli autori sentono la necessità, nel fare il punto alla fine di questi due brevi studi – uno sul nome e sul sito della comunità romana di Tressanti, e l’altro sulla viabilità che conduceva ad essa e da essa si dipartiva – di esprimere il loro convincimento su alcune realtà incontrovertibili che nel corso di queste loro ricerche sono venute alla luce.
Primo, Anzano è la traccia evidente della penetrazione e della “demarcazione” romana dell’Irpinia a partire dall’82 a. C. L’urbanizzazione di Tressanti sorgeva in un punto nevralgico lungo la fascia di comunicazione che partendo da Benevento e proseguendo lungo le valli del Calore, dell’Ufita e dell’Ofanto consentì ai Romani
-          di dividere in due il territorio del Sannio, separando gli Irpini rimasti ostili più a lungo alla Repubblica di Roma (l’Irpino Ponzio Telesino e il Lucano Marco Lamponio minacciarono direttamente Roma a Porta Collina, alla fine della Guerra Civile (I° novembre dell’82 a. C.), in un episodio di guerra in cui i nostri antenati, approfittando della guerra fratricida tra mariani e sillani, stavano per dare un colpo decisivo ai loro nemici storici) dalle altre tribù sannite del Nord e dai Lucani.
-          di raggiungere l’Apulia lungo la direttrice di attraversamento appenninico più rapida, sino alla creazione della variante di Traiano dell’antica Appia, nel 117 d.C., collegando Capua e Benevento, prima di tutto ad Eclano, subito ricostruita dai suoi distruttori e conquistatori, e poi ai territori di Lucera, Canosa, Taranto e Brindisi, sino a prolungarsi logisticamente e strategicamente con quell’altra strada di penetrazione romana nei territori macedoni e nel nord della penisola greca verso l’Asia Minore che era la Egnatia;
-          di domare e pacificare con presidi militari consistenti il territorio degli Irpini mediante la creazione di vasti latifundia affidati a importanti personaggi della parte sillana dotati di vaste risorse economiche e imprenditoriali, quale probabilmente era anche il nostro Anzio Restione. Come si sa, questi latifondi hanno segnato in seguito per tanti secoli il destino agrario e sociale del nostro territorio.
-          Sempre a questo proposito i due autori ritengono che la compresenza di due Anzani – uno nel territorio di Tressanti (e probabilmente all’inizio il più importante come attestano il fatto che si trovasse più vicino a Capua e Benevento e soprattutto il ritrovamento di reperti archeologici più numerosi trovati a Tressanti e attestati dalle iscrizioni nel C.I.L.) e l’altro nel territorio dell’antico Trevico – segnasse i due confini di una vasta zona presidiata coperta da boschi primigeni, la quale era destinata a durare nella toponomastica, sia dando nome alle due urbanizzazioni suddette,  che al latifondo coperto da alberi, come è traccia nel nome del feudo alle pendici di Ariano appartenuto più o meno sino al XVII sec. ad una famiglia che significativamente si chiamava “Anzani”. (Il cui palazzo è oggi sede del Museo Archeologico di Ariano Irpino). Dello sparuto lembo di bosco sopravvissuto sino ad oggi e chiamato dai residenti di Tressanti Macchia di Anzano abbiamo gà detto al Cap. II della Parte Prima.
Secondo, giunti alla fine di questo scritto, i due autori sperano che esso possa essere soltanto il primo di numerosi altri non necessariamente redatti e editi personalmente da loro, e si augurano che si possa procedere con altri e più ampi mezzi, come anche con professionalità più specializzate e ufficialmente competenti:
-          alla sistematica ricerca di paesaggistica e topografia storiche del territorio da noi individuato come fondamentale per la viabilità romana degli ultimi anni della Repubblica e sino alla realizzazione della variante apportata da Traiano all’Appia antica, nel 117 d.C.;
-          la raccolta e la collocazione sistematica pubblica, oltreché decorosa, delle lapidi e degli altri reperti archeologici trovati nel territorio di Tressanti e dintorni, oltre che ovviamente il loro studio e la  decifrazione delle epigrafi incise sulle lapidi:
-          alla divulgazione anzitutto alla popolazione di Tressanti della conoscenza di questo nostro passato storico importantissimo Sia detto senza eccessiva boria e citando un caro parente di uno di noi due, che ultimamente negli Stati Uniti si è preoccupato di rintracciare le proprie radici, “Se non si sa che cosa siamo stati non si sa nemmeno dove stiamo andando”. Ora che le condizioni economiche di questa nostra contrada, sia pure più vistosamente sul versate arianese che in quello montecalvese, sembrano essere tornate  prospere, sarebbe un vero peccato che le vestigia di quella comunità che per noi si chiamava ANZANO non venissero in qualche modo rinverdite.
[1] Latifundia che erano per un certo verso una novità voluta da Silla nelle centuriazioni tradizionali, come scrive uno storico inglese, Robin Seager (v. THE CAMBRIDGE ANCIENT HISTORY, The Last Age of the Roman Republic, Vol.IX, Ch. 6, Sulla, pag. 204,
“Some areas which had been hostile were physically and economically unsuited to the development of urban communities, for instance Bruttium, Lucania and some parts of Samnium. Here… Sulla supporters’ were allowed to amass large estates. Apart from such grants, would-be latifundists were often able to acquire land illegally from the veterans’ allotments, which  were supposed to be inalienable.”).
APPENDICE
Trascriviamo per comodità dei lettori alcuni estratti di registrazioni dal Corpus Iscriptionum Latinarum, edito da Theodor Mommsen, Lipsia, 1883. (v. Vol. IX – XLII Aequum Tuticum S. Magnum (propre Arianum) Forum Novum)

1421. Nel tenimento di Montecalvo, nel luogo detto S. Vito (quae aedicula est propre Montecalvum Arianum versus ) vigna del dott. Gaetano Rendisi. ANON.: “Inscriptio cum thesaurum nullum indicasset, a fassoribus iratis confracta est” (Mia nota: i cercatori di tesori  vedendo che l’iscrizione non aveva svelato alcun tesoro, ruppero la lapide)
PACCIA-Q-F / QVINTILLA / (me)FITI –VOT / (s)OLVIT
Era conservata dal dott. Rendisi, ma gli invidiosi di Montecalvo, canonico Zupo e suo fratello, con decreto estorto, gliela ànno fatta deporre sulla pubblica via, ove è stata slabbrata nel cantone destro, ed è rimasto FITI OLVIT, in luogo di MEFITI SOLVIT. O’ ottenuto che si conservasse (Lupoli, 1973 – Vitale, 1794)

1423 – In planta pedis fictilis litteris cavis, Montecalvi rep. extat ibi apud archipresbyterum Donatum d’Agostino.
Q-NOSTRI / SILVINI

1431 – Primo lapide a Montecalvo Arianum versus rep. in loco q.d. Tre Santi N.FALC. (Frustra quaesivit Dressel)
BADINIA – C-L-PSYCHARIVM / VIXIT-ANN-XVI / LAFRIA-Q-L-PHILVMINA / VIXIT-ANN-XXVI
C-BABIDIUS-C-L-NIGER / SORORI-ET-VXORI-FECIT

1446 – Litteris elegantibus. Rep. primo lapide a Montecalvo Irpino Arianum versus in loco q. d. Tre Santi, extat Montecalvi apud abbatem Nicholaum Chiancone
H-M-S-S-E-F-C / P-SALLVVIVS-P-F-RUFVS-ET / M-SALLVVIUS-P-F-COGITATVS / P-SALLVVIO-P-F-RVFO-PATRI-ET / SALLVVIAI-P-L-ITALIAI-MATRI / MEMORES-PIETATIS-FILI-PARENTIBUS
Recognovit Dressel – Iosepho Pizzillo.
Altre trascrizioni di epigrafi mutili trovate nella nostra zona non le abbiamo ritenute importanti per il nostro scritto.
Bibliografia di riferimento
-          Corpus Iscriptionum Latinarum, (C.I.L.), Lipsia 1883, Vol.IX.
-          Totius Latinitatis Lexicon – Onomasticon, Prato, 1859 – 1867, Vol.I.
-          Dizionario di Toponomastica, Utet, Torino, 1990.
-          PLUTARCO, Vita di Silla, Utet, Torino, 1993, Vol VI.
-          AA.VV., Storia di Roma, Einaudi, Torino, 1989, Vol.IV “Caratteri e Morfologie”.
-          E.T.SALMON, Il Sannio e i Sanniti, Einaudi, Torino, 1985.
-   J.-M. DAVID, "La Romanisation de l'Italie", Flammarion, Paris, 1997
-      ORAZIO, Satire, Lib.I, V.

 

 
 
 
 
 

http://win.irpino.it/cultura/conferenza%20anzano.htm

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