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La strage dimenticata

L’hanno definita la “strage dimenticata”, probabilmente perché, a differenza di altre simili quella dell’Isochimica è una storia che in pochi conoscono.
È il 1990 quando nella fabbrica dell’Isochimica di Avellino, situata in zona Borgo Ferrovia, si inizia la scoibentazione di circa tremila carrozze rivestite d’amianto delle Ferrovie dello Stato.
Titolare dell’azienda è Elio Graziano, presidente della squadra di calcio dell’Avellino durante anni di grandi successi (in cui i biancoverdi erano arrivati quasi a qualificarsi in Coppa UEFA), ma noto alle cronache giudiziarie già dagli anni ’80 a causa del c.d. scandalo “lenzuola d’oro” (Graziano offriva mazzette ai dirigenti delle FS per assicurarsi la fornitura della biancheria sui treni notturni).
Ma mentre la città faceva il tifo e acclamava il presidente (che arrivava allo stadio Partenio in elicottero e magari ai tifosi che chiedevano aiuto donava generosamente qualche banconota), i circa 350 operai dell’Isochimica smaltivano le fibre di amianto sotterrandole nel piazzale della fabbrica o imprigionandole in cubi di cemento lasciati poi alle intemperie,

forse inconsapevoli del pericolo per la loro salute e per quella dei loro familiari, nonché degli abitanti della zona.Gli operai dell’ex Isochimica hanno raccontato che, il più delle volte, le operazioni di smaltimento erano effettuate senza tante precauzioni: lavoravano a mani nude e senza mascherine e non era raro che qualcuno, la sera, portasse a casa la tuta da lavoro per farla lavare alla moglie.Il risultato, venticinque anni dopo, è quello di 17 morti (solo tra gli operai, non sono inclusi coloro che siano stati esposti alle particelle di amianto), circa 150 persone ammalate (per cui è certo il nesso di causalità tra la prolungata esposizione alle fibre tossiche e la malattia), un’area al di sotto del quale sono sotterrate ventimila tonnellate d’amianto e oggi è accertata esserci una presenza di 27 fibre d’amianto per litro d’aria (fonte l’Arpac, l’Agenzia regionale per l’ambiente della Campania) e, infine, 24 indagati (tra cui l’ormai anziano Elio Graziano).Incredibile che nessuno, all’epoca, sapesse nulla. Incredibile che nessuno, ancora poco prima dell’apertura dell’inchiesta, abbia voluto saperne nulla. Il reato contestato è lo stesso dei più noti (ma parimenti tragici) casi dell’Eternit e dell’Ilva: disastro ambientale.Ma, al di là, della vicenda giudiziaria, resta aperta una questione, probabilmente più rilevante, quella della bonifica dell’area.Nell’inchiesta della procura avellinese si indaga anche sulla mancata bonifica, frutto di un rimpallo di responsabilità tra amministrazione cittadina e curatori fallimentari dell’ex Isochimica, durato un ventennio. Ancora nell’ottobre 2013 l’Arpac aveva sostenuto la necessità di “effettuare la pulizia delle aree esterne interessate da amianto disciolto”, ma nei quattordici mesi successivi le cose non si sono smosse. Solo lo scorso 7 gennaio 2015 è stata firmata una convenzione per la messa in sicurezza della fabbrica tra la Regione Campania e l’amministrazione comunale di Avellino. A fronte di uno stanziamento di 1,5 milioni di euro da parte della Regione, il comune si è impegnato a ricercare ulteriori fonti di finanziamento per le operazioni di riqualificazione dell’area. Il finanziamento regionale, infatti, verrà per ora utilizzato per procedere alla rimozione dei due silos di cemento in cui all’epoca veniva incorporato l’amianto smaltito e alla verifica e al controllo del livello di contaminazione del terreno e delle acque dell'area. Trattasi, solo di un primo passo per la bonifica della zona. Ma la strada è ancora lunga. Chissà che il 2015 possa essere l’anno che ridia almeno speranza ad una terra maltrattata, stuprata, colpita al cuore e poi dimenticata.
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